Il viaggio era
un pretesto per allontanarci da noi stessi, tu da me, io da te, dalla nostra
immagine reciprocamente riflessa. Che cosa vedono, gli altri, di noi stessi,
nei nostri occhi, attraverso i nostri occhi? E quale idea possono farsi di se
stessi? E noi di loro? Eravamo in viaggio, con quell’alternarsi di esplorazioni
e ricapitolazioni notturne, che è implicito nel percorso. Il passato entra nel
viaggio come in sogno, nell’uno e nell’altro non vi è più una distinzione, una
direzione univoca. Il nostro modo di allontanarci da noi stessi era immergersi
nella concretezza del qui e ora e poi, di notte, sprofondare nel nostro
passato, come in risposta allo spaesamento dell’ignoto, un modo per confermare
le nostre identità fluttuanti immergendoci nell’immobilità della memoria, una
memoria fuori di ogni controllo, confusa o troppo nitida, com’è dei sogni.
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